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Appartamento 401: la recensione


Un tè con l'autore: "Appartamento 401" di Yoshida Shuichi
Recensione

Vi è mai capitato di concludere una lettura e rimanere basiti fissando il libro nella speranza che da un momento all'altro si materializzi dal nulla qualche altra pagina che dia finalmente un senso a ciò che si è appena letto? 
E' proprio ciò che è capitato a me non appena concluso "Appartamento 401" di Shuichi Yoshida (titolo originale Parade).
Non capisco ancora se questo libro mia sia piaciuto o meno, certo è che, almeno stando alla sinossi, mi aspettavo molto di più, mi aspettavo quantomeno un thriller, cosa che purtroppo non è. Andiamo con ordine.

Il romanzo ruota attorno alle vite di quattro ragazzi, Ryosuke, Kotomi, Mirai e Naoki, a cui successivamente si unirà Satoru, coinquilini in un appartamento nel quartiere di Setagaya a Tokyo. Cinque vite, cinque punti di vista che si susseguono con l'incalzare del racconto, un ritmo che alterna momenti concitati a momenti lenti e compassati, più riflessivi. 
Una vita che scorre apparentemente tranquilla, una tranquillità scandita, però, da azioni che sembrano ripetersi in modo inesorabile, trasmettendoci come l'impressione che questo appartamento sia in realtà un microcosmo dove l'io dei protagonisti si scinde tra ciò che è dentro e ciò che è fuori dall'appartamento, ma ancora di più, tra ciò che è realtà e ciò che è finzione. 

"Potevamo continuare a vivere lì soltanto a patto di recitare la parte di quelli 
che erano perfettamente in grado di sentirsi a proprio agio. 
E non ci si poteva aspettare una performance seria..."

Questo è anche l'aspetto che appena scovato il libro il libreria mi aveva intrigata di più, un romanzo che dipinge a tinte pacate sprazzi di vita quotidiana, sonda il profondo dell'animo umano portando alla luce i tentativi di questi giovani ragazzi di trovare, ciascuno a proprio modo, nella loro individualità, il proprio posto nella società, nel mondo. 
Fin qui andava anche bene, allora a cosa è dovuta la mia perplessità?
Credo nella superficialità con cui tutto ciò viene affrontato. Nulla viene approfondito, conosciamo i protagonisti, ognuno di essi ha un proprio point of view, ma scava appena la superficie della loro personalità, le loro vite scorrono impalpabili tra le pagine del libro. Sembra quasi che al lettore, come fosse di passaggio, capitasse di lanciare uno sguardo fugace all'interno dell'appartamento, riuscendo a cogliere solo frammenti di vita vissuta, sprazzi di pensieri, senza che questi riescano realmente a far breccia in lui.
Riflettendoci su, Parade sembra un titolo più calzante, riesce a rendere più efficacemente l'idea di fugacità, l'idea di qualcosa che possiamo cogliere solo di sfuggita, a tratti. Certo, ci sarebbe da tener in considerazione una peculiarità della letteratura nipponica, il suo essere talvolta inafferrabile, sfuggevole ad ogni comprensione, il suo procedere lentamente. Leggendo Appartamento 401 sotto quest'ottica devo dire che ho potuto apprezzarlo un po' di più.

Ma rimane da considerare il finale, e al momento, pur avendo rivalutato in parte il romanzo, non riesco a darvi un senso. Durante il corso del racconto veniamo a sapere di improvvisi episodi di violenza nel quartiere, immaginavo fossero l'elemento di svolta, il fattore che avrebbe portato i personaggi a rimettersi in discussione. Ma ciò non avviene, questi episodi di violenza restano accenni fatti qui e lì, si condenseranno nel finale ma devo ancora valutare cosa effettivamente significhino in rapporto a quanto narrato in precedenza

Tirando un po' le somme.  E' una brutta lettura? Certamente no. Pur avendolo giudicato superficiale, rimane una lettura piacevole, scorrevole e con un linguaggio semplice.
Mi è piaciuto il libro? La risposta non è semplice. A primo impatto rimasi un po' scontenta, ma vi ho riflettuto parecchio, ho cercato quanto più di non fermarmi alle prime impressioni, non amo giudicare un libro superficialmente, motivo per cui mi sono presa presa del tempo prima di scrivere questa recensione. Ammetto di averlo trovato a tratti sbrigativo, abbozzato, soprattutto per quanto riguarda i cinque protagonisti, ma poi sono giunta ad una considerazione. E se questa superficialità fosse in realtà voluta? Allora sarebbe un espediente per rendere più evidente lo straniamento che vivono i protagonisti. E sarebbe un modo per focalizzare l'attenzione su quanto la società, quella giapponese in particolar modo, possa portare l'individuo a diventare altro da sé per riuscire a vivere al suo interno.
Lo reputo uno di quei libri che necessitano di una seconda possibilità, lo rileggerò sicuramente più avanti,  e spero anche di poterne vedere il film diretto da Isao Yukisada, una trasposizione cinematografica potrebbe rendergli il giusto merito.


Sayonara

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